Il termine Ipocondria viene dal greco ὑποχόνδρια, composto dal suffisso ὑπο, che significa “sotto”, e χόνδριος, che significa “Woody Allen”.
L’ipocondria viene psichiatricamente definita come un eccesso di preoccupazione per il proprio stato fisico. E il totale disinteresse verso quello mentale dei propri cari.
Secondo la terapia cognitivo-comportamentale, il ciclo dell’ipocondria si articola in quattro fasi proprie, che la distinguono dalle altre sindromi ossessivo-compulsive. Con le quali però condivide la quinta: il fallimento della terapia cognitivo-comportamentale.
Il ciclo dell’ipocondria
Lieve raschio in gola. Accarezzamento della carotide. Cristo quant’è duro questo linfonodo. E’ duro che sembra quasi una carotide.
Fase ossessiva. Organizzo i sintomi per cercare la diagnosi. Sono due giorni che mi prudono i piedi, parlo con voce strozzata e tratto gli estranei da mediocri rompicoglioni: è il linfoma di Nanni Moretti.
Google. Cazzo anche la sudorazione notturna. Ho inzuppato la maglia di lana, la tuta ed entrambi i piumoni. E sarà passata almeno una settimana da ferragosto.
Per tirarmi su mi figuro il funerale. Le diapositive della casa in Sardegna su “Dream a Little Dream of me”, le belle ragazze che piangono, il discorso di Cicchitto. Poi mi figuro anche il mio.
Fase compulsiva. Devo andare dal medico. Ne ho cambiati dieci negli ultimi sei mesi. La cosa era talmente stressante che ogni volta che li lasciavo avevo una allucinazione auditiva: il rumore di un tappo di champagne. L’otorino non mi ha trovato niente, nonostante abbia avuto la stessa allucinazione anche uscendo dal suo studio.
Comunque: nuovo medico. Sala d’attesa. Le sale d’attesa sono l’eldorado delle signore al di sotto di un certo tasso d’istruzione e al di sopra di un certo tasso di varici. Sono un mondo fatto per loro, a cominciare dalle riviste sul tavolo di tamburato. C’è “Padre Pio Weekly”, oggi con il punteruolo per bucarti le mani, “Peggiora il tuo Abruzzese”, con il CD di Maria Teresa Ruta che legge luoghi comuni sui Marchigiani, e “Coltiva i tuoi porri”, con l’esclusiva cavigliera-hula hoop firmata dalla Sora Lella.
Una signora accanto a me racconta che suo figlio è stato visitato in sogno da suo nonno morto, che gli ha detto di controllare un neo. Il dermatologo l’ha visto e gli ha salvato la vita, essendo quel neo un melanoma al tredicesimo stadio. “Quelli non li operi, ci fai una chiacchierata maschia e li convinci ad andarsene con le loro gambe”.
Comunque entro dal medico, mi tasta la gola, mi dice che quello che credevo fosse un linfoma in realtà è la mia carotide. Mi faccio guardare i nei con l’ultravioletto. I nei sono a posto, ma non riesce a flasharmi il codice a barre.
Stringo la mano al medico, che sorridendomi mi saluta: “E comunque veda che solo una piccola percentuale di melanomi si evidenzia da una mutazione del neo”. “Ah, gli altri da cosa si vedono?”. “Da niente, sono asintomatici”.
Il cancro asintomatico.
Il cancro asintomatico è il capo dei cattivi. Quello che quando entri nella stanza sta di spalle nella poltrona girevole. È Charlie cattivo, e questi sono i suoi tre demoni: Formicolio alle Mani, Fischio all’Orecchio e Trentasettemmezzo.
Nessuno li ha mai visti agire tutti insieme, ma nel giro degli ipocondriaci si narra di un certo Santuzzo che, colpito dalla combo maledetta, ha acceso il gas, messo la testa nel forno e si è sparato facendo saltare in aria la casa.
Il terrore del cancro asintomatico ti colpisce quando meno te l’aspetti, tipicamente davanti alla TV. Quello da melanoma quando non hai indovinato la Ghigliottina e ti concentri sull’incarnato di Carlo Conti. Quello da linfoma quando la Clerici alza l’ascella per votare il peperone verde. Quello al cervello se ti svegli, accendi e c’è Gabriele La Porta che parla con un manichino della Standa chiamandolo “Socrate”.
Il terrore del cancro asintomatico passa solo appena ti viene un sintomo. Il sintomo preferito dall’ipocondriaco è il muco. Perché, in linea di massima - e il primo che si azzarda a confutarmela lo decapito e lo mando a Cleopatra - il muco vuol dire raffreddore, influenza o allergia: gli idoli erotici dell’ipocondriaco.
L’ipocondriaco non si libera mai del muco. Per lui è denaro. Una dose di muco è stimata intorno ai centocinquanta euro, perché appena te ne liberi e ti restano gli altri sintomi devi correre dallo specialista.
Così, durante l’inverno, le narici dell’ipocondriaco aumentano di volume fino a stuzzicare la fantasia di Lunardi. E la sua voce muta progressivamente nel sibilo di un’elettromola, sviluppando armonici che fanno confessare Il Prigioniero e accorrere i procioni. Per altro portatori di rabbia e leishmaniosi.
Finito l’inverno e superate le allergie primaverili, l’ipocondriaco viene liberato dall’estate, che lo trova magro, col pigiama a righe e un paio di pericolose opinioni sulla Palestina.
Qualche giorno dopo, al mare. Il corpo abbronzato e coperto di salsedine, la donna della sua vita accanto, la fresa con pomodoro rosa amalfitano, olio pugliese e origano fresco, l'ipocondriaco per la prima volta si sente felice, caldo e al sicuro. Ed è a quel punto che l'odore del pomodoro arriva al vespaio sull'ombrellone.